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francescobarilaro

Giusto per dovere di ...

Aggiornamento: 6 mag 2021

Quest’ultimo anno è stato difficile, un momento nero, un periodo “oscuro” che spesso si verifica, che ha provocato una mancanza di motivazione, di difficoltà nel riuscire a vedere, di tanti dubbi. E questo vale soprattutto nel mio rapporto con i social, la rete e con discutibili “colleghi” di lavoro. Così mi sono isolato, ho interrotto rapporti e iniziato un piccolo viaggio, dall’interno. Un processo di pulizia che ha eliminato tutto ciò che non mi dava gioia, tutto ciò che non mi faceva stare bene e che limitava il mio rapporto con la fotografia. Oggi non so se quel cambiamento sia stato effettivo, reale, ma sicuramente mi ha permesso di vedere le cose in modo molto diverso e soprattutto non aspettarmi nulla da persone con le quali prima condividevi idee, percorsi, fatiche e sudori. Intanto i social e i forum: li ho lasciati quasi tutti così come ho deciso di cancellare un centinaio di cosiddette “amicizie”.


Ci sono persone incredibili e con un potenziale pazzesco su Facebook ma ho capito che la maggior parte di loro affrontano questa confusione in un modo ILLUSORIO oppure REALE. Alcune persone decidono di parlare di fotografia postando immagini quasi con una forma di favolistica e fiabesca voglia di mostrarsi; alla ricerca di like e commenti al sapore di miele. Un modo per sentirsi meglio. Poi cè il modo REALE e cioè scrivere o postare le immagini esattamente come ti senti in quel determinato momento, fregandotene se la tua foto non piacerà e quindi la possibilità di perdere qualche “seguace” del tuo profilo. Ho capito che questo doveva essere un buon punto di partenza; questo approccio al problema conteneva i miei dubbi, pensieri e sentimenti, compresi quelli spiacevoli. E’ un buon modo di togliersi la maschera, non nascondersi, smettere di calcolare. Questo secondo approccio è raro, ma credo che sia l’unico percorso che porti ad una rinascita come fotografo. Leggevo come il miglior farmaco prescritto dai grandi pensatori della fotografia moderna, sia proprio quello di ridurre il più possibile i rapporti con i social. Lo ha fatto Zack Arias, Jonas Rask e anche Daniel Milnor e moltissimi altri. E allora perchè per questi grandi artisti, abbandonare o ridimensionare la loro interazione con i social è stato così vitale nella trasformazione delle loro vite fotografiche ? Oggi vedo che essere un fotografo equivale ad avere obbligatoriamente una presenza sui social media; non c’è dubbio che questi strumenti offrano abbondanti opportunità per presentare i propri lavori, stabilire collegamenti con altri fotografi e infine raggiungere un grande pubblico. Io ho capito che può essere divertente e coinvolgente da un punto di vista sociale, quasi fosse un piacevole circolo fotografico dove si interagisce, ma poi una sera mi è sorto un pensiero quasi sgradevole, preoccupante. Mi sono chiesto se davvero anche a me piaceva quella immagine. Perchè mi piace questa foto? Perche ho premuto quel bottone MI PIACE anche se l’immagine non era buona. Ecco il punto !! Quindi ho fatto un favore a qualcuno preferendo un’immagine che secondo me non era buona ? Credo di aver fatto un cattivo favore a quella persona, e ho fatto un cattivo servizio a me stesso. E così ho ragionato sul perchè tutta questa giostra di LIKE può essere una sorta di boomerang. Ricordo molto bene quando entrai in facebook e iniziai ad avere un sacco di MI PIACE, tantissime persone che approvavano il mio lavoro e le cose che facevo o dicevo. Bastava quello per sentirsi bene e così con le immagini, giorno dopo giorno una valanga di MI PIACE quasi fosse la macchina a rispondere automaticamente; quasi fosse una catena di Sant’Antonio a produrre quei riconoscimenti. Con il tempo ho notato alcune crepe in questo meccanismo e così decisi di postare immagini diverse, molto diverse dalle altre. Quelle immagini notai NON avevano assolutamente richiesto una concentrazione maggiore da parte dell’interlocutore e quindi le stesse gratificazioni, gli stessi riconoscimenti. Avevo capito che il dono dell’ATTENZIONE, del senso CRITICO da parte di uno spettatore era qualcosa di veramente scarso sui social, su Facebook avevo capito essere imperante la superficialità e la svagatezza. Recentemente ho incontrato alcuni giovani fotografi. Dopo qualche minuto della nostra conversazione, ho notato che stavano costantemente attaccati allo smartphone per controllare la loro pagina Facebook e Instagram. La maggior parte di loro era incapace di concentrarsi su una discussione, distratti e preoccupati che le loro foto fossero assolutamente in linea con gli standard che si erano prefissati. Abbiamo guardato alcune immagini e le uniche parole che riuscivano a recitare su queste fotografie erano “wow”, “incredibile”, “grande lavoro” – come se stessero utilizzando un feed di Instagram o Facebook, utilizzando risposte generiche. Non c’era nessuna pausa, nessun interesse reale all’immagine, nemmeno un’attenzione sufficiente per capirne il senso. In questo carosello, questo Disneyland di amicizie con persone che non mai incontrato veramente, diventa essenziale, per me, vivere in un mondo reale mettendo da parte tutto il disordine e i rumori poco proficui dei social, tornare a vivere utilizzandoli in un modo assolutamente diverso e sicuramente secondario. Ci sono io prima di tutto, con le mie idee, con la mia testa; non mi interessa che a qualcuno possa piacere o meno una mia foto. Deve piacere prima di tutto a me stesso e se poi questa persona riesce ad interagire con me in modo costruttivo, serio, con critiche fondate, beh, allora che sia il benvenuto. Diversamente non mi interessa avere un LIKE che non assomiglia a niente. Continuo a credere sempre più che la fotografia sia un linguaggio visivo, che come altre lingue richieda sforzo e dedizione all’apprendimento. E’ la capacità di interagire con il tuo soggetto utilizzando la luce e la creatività per modellare una memoria della tua visione. Osservare, collegare, visualizzare, pensare, creare e poi premere il pulsante di scatto. Ogni volta lo stesso lungo e intenso processo che richiede uno sforzo fisico e mentale. Quando si preme il pulsante che fa muovere l’otturatore senza visione, senza coinvolgimento mentale, senza interesse reale, sincero, non stiamo facendo fotografia, stiamo creando una copia, stiamo bleffando con noi stessi. Esattamente come quei LIKE dei social regalati di cui parlavo prima. E lo stesso vale per quei pseudo-colleghi abituati a guardare gli altri prima che loro stessi. Eliminati totalmente anche loro dal mio circuito di interesse, le persone inutili non hanno senso perchè sono una reale perdita di tempo. Che ci pensino loro alle prime pagine dei quotidiani, alle mostre o ai World Press Photo, alle loro lotte intestine per essere i numeri uno. Non mi interessano !!! Come dice una cara amica fotografa: “che si possano curare l’invidia questi sottaceti delle foto, tanto non lasceranno lo stesso alcuna traccia nella storia della fotografia”.

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